Qualcuno sceglie i pastelli, più facili da usare quando braccia e mani risentono delle conseguenze dovute ai disagi cognitivi che colpiscono il cervello. Altri provano acquerelli e tempere, e si confrontano con le difficoltà legate al controllo del colore diluito. C’è chi riempie tutto il foglio e chi invece occupa uno spazio minimo; chi lascia riaffiorare i ricordi sopravvissuti alla memoria che vacilla, e chi trova nella creatività uno stimolo per affrontare la malattia. E’ il potere curativo dell’Arteterapia, nei corsi che Giulia Maria Calderoni tiene per i pazienti dell’associazione di Ravenna A.L.I.Ce, che si occupa di ictus cerebrale, e che con le associazioni Alzheimer e Parkinson ha creato un polo della disabilità in via Le Corbusier. Dopo la pausa forzata legata alla pandemia da Covid, sono finalmente ripartiti gli incontri.
Sono sette i pazienti seguiti da Giulia, classe 1993, laureata in Psicologia cognitiva, con esperienze all’estero come insegnante di sostegno nelle scuole per bambini con bisogni speciali (legati a disturbi nell’apprendimento), ed esperta degli effetti benefici dell’arte. Si incontrano ogni giovedì pomeriggio per un’ora e mezza di laboratorio, ribattezzato “Il viaggio creativo”. Con lei ci sono anche una volontaria di A.L.I.Ce e una psicologa, che la affiancano negli incontri con i pazienti: “Lo scopo - spiega - è spingersi oltre la socializzazione con un lavoro multidisciplinare, andando verso la riabilitazione sia fisica che cognitiva”.
E’ un lavoro graduale, che varia a seconda della persona e della patologia: “Utilizziamo materiali artistici come veicolo. I pazienti sono liberi di scegliere fra tempera, acquerello, pastello, pasta di sale, collage. Ci sono tecniche che si prestano di più alla creatività e alla manipolazione, ma che hanno allo stesso tempo bisogno di una gestione maggiore”. La sfida è “prendere confidenza con un modo nuovo di vivere e muoversi nello spazio, dovuto alla malattia”. Altro aspetto centrale nel lavoro di gruppo è l’emotività:
“Il materiale artistico facilita l’espressione di immagini interne che non sempre vengono espresse verbalmente. Il collage, per esempio, è semplice da realizzare ma allo stesso tempo è “rivelatore” a seconda della selezione delle immagini. Anche la scelta del colore, oltre alle tecniche, gli spazi occupati nel foglio, la paura di sbagliare, sono tutti aspetti che dicono moltissimo sul desiderio di aprirsi o meno, e su come viene vissuta la malattia”. Allo stesso tempo i lavori aiutano la riabilitazione di mobilità perse, oppure consentono di sviluppare metodi alternativi per sorpassare gli ostacoli insorti”.
Anche le reazioni sono diverse: “Emerge in questa fase della vita anche il riferimento alla morte. La socialità aiuta e l’attività creativa si alterna a momenti di riflessione”. Il percorso affronta attività via via sempre più intense: come “l’albero della vita”, che utilizza il collage per esplorare i propri legami, oppure il compito di tratteggiare la parte del corpo danneggiata, per arrivare, verso le ultime lezioni del laboratorio, all’autoritratto emozionale. “Mi piacerebbe venisse superato lo stigma che una persona sia degna di vivere in quanto produttiva per la società. Vorrei trasmettere la consapevolezza che la vita è degna di essere vissuta fino alla fine, e sono convinta che attraverso questi laboratori chi è affetto da queste patologie comprenda di essere tante cose, non solo la malattia che sta vivendo, sentendosi ancora utile e funzionale”. In altre parole, usare l’arte per “riscrivere sé stessi", “aumentando la propria autostima per combattere l’umore depresso”.